venerdì 28 gennaio 2011

L'abbuffata

L'abbuffata, di Mimmo Calopresti, con Paolo Briguglia, Elena Bouryka, Lele Nucera, Lorenzo Di Ciaccia, Diego Abatantuono, Mimmo Calopresti, Valeria Bruni Tedeschi, Donatella Finocchiaro, Gérard Depardieu, Nino Frassica, Steve Della Casa - Italia, 2007.  
Punteggio ★★

Prima o poi, quando un regista "autore" è in crisi creativa fa un film su un regista "autore" in crisi creativa. Così sembra essere anche per Calopresti con L'abbuffata. Per fortuna che, a differenza di altri suoi colleghi più incupiti, la prende con allegria e il tocco è lieve. Anziché le solite lunghe sequenze onirico-meditative cui siamo abituati in questi casi, assistiamo alle peripezie di un gruppo di ragazzi in un paesino del Sud che vogliono fare un film con un "Maestro", cioè il grande regista in crisi ritiratosi nel paese natio, che assiste ai loro sforzi impotente e astioso (ottimo Abatantuono nella parte).
Un po' di scene stancamente critiche sul mondo del cinema e della televisione, qualche spunto sentimentale, un paio di camei di amici e critici cinematografici, belle inquadrature del paesino calabrese sul mare. Insomma, un film decentemente non riuscito che si lascia guardare.[FP]

giovedì 27 gennaio 2011

ma che Storia ...

ma che Storia… Regia: Gianfranco Pannone
; Produzione: Cinecittà Luce, in collaborazione con Produzione Straordinaria
; durata: 80′ - Italia, 2010

Punteggio ★★1/2   

Link
YouTube (trailer)
blog del regista Gianfranco Pannone


Il documentario è un’opera di montaggio di materiali tratti dall’Archivio storico Luce con un approccio che mescola il registro drammatico a quello comico o ironico.
Il regista alterna immagini celebrative del Risorgimento e dei suoi “eroi”, prodotte nel corso del Novecento, e immagini che illustrano alcuni momenti cruciali della storia d’Italia (tralasciando gli ultimi trent’anni). Sono utilizzati molti filmati che documentano gli aspetti  popolari del nostro paese, con particolare attenzione per i canti popolari (selezionati da Ambrogio Sparagna), che impreziosiscono il documentario e richiamano la presenza, nelle vicende del Paese, di una tradizione popolare, contadina in particolare, che si contrappone alla retorica degli eventi così come sono raccontati dalle fonti ufficiali. L’altro innesto estraneo al materiale dell’Archivio Luce è costituito dalla lettura di alcuni testi che riflettono sulla nostra storia e sulla nostra identità (dal Leopardi di All’Italia all'Arbasino di Un paese senza, dall’Alianello di L’eredità della priora al Vassalli di L’italiano).
Le immagini che si intrecciano in sequenza sono anche molto disparate tra loro ma questa disorganicità rapsodica (comunque inferiore e meno “disturbante” rispetto al Concerto italiano di Italo Moscati) risponde forse alla domanda che il regista si è posto nelle sue Note di regia: “Mi sono più volte chiesto se, come me, anche la gente di questo Paese creda che la storia d'Italia, specie quella unitaria, sia difficile da rinchiudere in risposte nette, univoche. Ecco perché ho sentito il bisogno di questo film e di intitolarlo ma che Storia”.  [PG]

mercoledì 26 gennaio 2011

Sharm el Sheik - Un'estate indimenticabile

Sharm el Sheik - Un'estate indimenticabile, di Ugo Fabrizio Giordani, con Giorgio Panariello, Enrico Brignano, Maurizio Casagrande, Cecilia Dazzi, Michela Quattrociocche. - Italia, 2010. 
Punteggio

Sebbene il pretesto narrativo sia la perdita del posto di lavoro e nonostante qualche labile accenno a famiglie una volta tanto non in crisi, si finisce nel più tipico dei cinepattoni (per quanto sia uscito in sala a fine estate 2010). Sono infatti presenti alcuni dei componenti di base di questo sottoprodotto cinematografico: ambientazione "esotica", bellezze volgari, comportamento farsesco, abuso del dialetto, consumismo cafone, centralità degli attori televisivi, assenza di comicità, tendenza alla noiosità. Prima ancora che mal fatto, tutto è di basso livello, come le camicie che i cinesi vendono a cinque euro ai mercatini.
Stabilire chi sia più sgradevole fra Panariello e Brignano è davvero difficile, se non impossibile. [FP]

martedì 25 gennaio 2011

Materiali - La comicità di Checco Zalone - 2

" Diciamo la verità: siccome un successo di queste proporzioni non se lo aspettava nessuno, nemmeno nei sogni più audaci, è altrettanto difficile spiegarne le ragioni. Stupisce il valore assoluto della cifra (...) ma soprattutto meraviglia la velocità con cui il film di Zalone e Nunziante è arrivato a battere ogni record: 11 giorni! Persino Avatar procedeva con minor foga. Ed è proprio questa «frenesia» che lascia senza parole. E senza spiegazioni. 

Sul film ormai si sono esercitati tutti: il personaggio del buttafuori che sogna una promozione «sociale» ha i tic di un Nando Moriconi d’oggi (per usare il paragone più indovinato) ma un orizzonte ancora più ridotto e risibile perché quello almeno sognava l’opulenza «del Kansas City», questo è contento di regolare il flusso dei turisti sul tetto del Duomo. E forse è proprio questo involontario elogio dell’incompetenza e dell’ignoranza ad attirare gli spettatori, a regalare, in cambio del prezzo di un biglietto (che è una delle cose più a buon mercato oggi disponibili), un sentimento di «superiorità» che pochi film possono offrire. Che bella giornata non fa paura a nessuno. 

Anzi, finisce per consolare: lui è decisamente peggio di me! E allora perché non premiarlo facendo la coda al botteghino? Anche perché - e questo è sicuramente un effetto cercato - la comicità si mantiene sempre al di sotto di un «accettabile» livello di volgarità. I cinepanettoni avevano finito per farsi un vanto della loro esagerazione (linguistica, ma anche comportamentale). Zalone al cinema ha scelto di rassicurare, a rischio di tradire il suo personaggio televisivo, le cui canzoni sguazzavano tra doppi sensi e pesanti allusioni. Sullo schermo se ne sentono solo pochi accenni (come quelli sugli effetti inturgidenti dell’amore), ma il core business della sua comicità è dichiaratamente altro. Più «familiare», più «educato», più «represso». (...) ".

Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 18 gennaio 2011

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lunedì 24 gennaio 2011

La solitudine dei numeri primi

La solitudine dei numeri primi Regia: Saverio Costanzo; soggetto: dal romanzo omonimo di Paolo Giordano; sceneggiatura: Paolo Giordano e Saverio Costanzo; interpreti: Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Martina Albano, Arianna Nastro, Tommaso Neri - Italia, Francia, Germania, 2010 
Punteggio ★★   

Tratto dal best seller omonimo di Paolo Giordano sull'amore difficile se non irrealizzabile fra due anime segnate da un trauma che li ha segnati fin dall'infanzia. Non ho letto il romanzo e quindi considero il film come a se stante. La sensazione è di un film freddo, alla ricerca di toni e atmosfere dark ma che non riesce a raggiungere grandi risultati. Nonostante il tema siano le emozioni, i sentimenti, le passioni, non trasmette allo spettatore nulla.
La direzione degli attori è comunque buona. Alba Rohrwacher sempre molto brava, Luca Marinelli qua e là un po' sopra le righe. [FP]
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domenica 23 gennaio 2011

Qualunquemente

Qualunquemente Regia: Giulio Manfredonia; soggetto e sceneggiatura: Antonio Albanese; interpreti: Antonio Albanese, Sergio Rubini, Lorenza Indovina, Nicola Rignanese, Davide Giordano. Italia, 2011. 
Punteggio ★★   

La cosa che più convince di questo film è il presupposto da cui parte: in un paese in cui la realtà politica supera la finzione, drammatica e comica, non è più possibile fare satira, resta solo il grottesco. E così è il film. Mi è però difficile trovare il taglio giusto per commentarlo.
Andiamo per pezzi separati. Il primo è che non fa ridere. Non c'è una sola scena che strappi, non dico una risata, ma neanche un sorriso. Poi, mi vien da dire che la componente di critica politica è tanto condivisibile quanto scontata. Infine, Antonio Albanese, che ha ideato il soggetto/personaggio e si è scritto addosso la sceneggiatura, è bravissimo ad esprimere il suo personaggio, che tiene in quasi tutto il film.
Come tutti sanno, l'imprenditore Cetto La Qualunque è l'uomo che i "furbi" di un paesino della Calabria, al suo ritorno da un periodo di "necessaria" latitanza, decidono di far scendere in campo nelle elezioni comunali. Cetto raccoglie in sé tutte le caratteristiche che nella società locale danno il successo: corrotto, amorale, volgare, razzista, maschilista. E, come se non bastasse, dichiara e urla ai quattro venti queste sue caratteristiche, come fossero dei meriti.  Il tono scelto dal regista e dal protagonista è un grottesco fatto di eccessi. Ogni situazione è volutamente spinta oltre la misura ma sempre "poco" oltre la misura, cioè sempre vicina alla realtà. La novità, e l'elemento peculiare del personaggio e del film, sta nel dirlo ,nel teorizzarlo, nell'esibirlo. Esemplare in questo senso la frase che Cetto dice al figlio: "Presto io sarò sindaco e tu per legge sarai vicesindaco". [FP]

sabato 22 gennaio 2011

La passione

La passione, di Carlo Mazzacurati, con Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Cristiana Capotondi, Stefania Sandrelli, Kasia Smutniak - Italia, 2010
Punteggio ★1/2   

Storia di un regista in crisi che si trova obbligato a dirigere  controvoglia una rappresentazione pasquale in un paesino di provincia, e trova (ovviamente) una piccola catarsi finale, è una farsa che non diverte, una commedia  dramamtica senza significati. Un film decisamente non riuscito.
Nel folto gruppo di attori mal diretti, spiccano Silvio Orlando, che ripropone stancamente il solito personaggio di sfigato timido e introverso ma intelligente, e Corrado Guzzanti, patetico nel suo non trovare il registro giusto. Si salva a malapena solo Giuseppe Battiston. Curioso il destino di Kasia Smutniak nella storia: dopo vari piccoli tocchi per costruire un'empatia fra lei e il regista in crisi che la portano a recitare la parte della Maddalena, scompare letteralmente dal film. Forse il regista (quello reale) l'ha persa per strada. [FP]

mercoledì 19 gennaio 2011

Pranzo di Ferragosto

Pranzo di Ferragosto, di Gianni Di Gregorio, con Gianni Di Gregorio, Valeria De Franciscis, Marina Cacciotti, Maria Calì, Grazia Cesarini Sforza - Italia, 2008. 
Punteggio ★★  

Gianni, ultracinquantenne, si occupa amorevolmente a tempo pieno dell'anziana madre, una nobildonna decaduta. Fra la madre e i debiti, trova conforto nella bottiglia ma sempre con dignità. Quando l'amministratore condominiale gli chiede di ospitare sua madre per Ferragosto in cambio di una congrua riduzione delle spese condominiali, seppur con incertezza accetta. Una richiesta analoga gli giunge dal medico di famiglia e anche a lui non può dire di no. Infine, si aggiunge una terza signora, zia dell'amministratore. Fra equivoci e idiosincrasie trasformati in gag delicate che fanno sorridere senza essere sguaiate, le anziane, ognuna con le sue manie e le sue preferenze, faticano a sincronizzarsi ma per fortuna trovano un'intesa affettiva in tempo per un felice pranzo di ferragosto.
Gianni Di Gregorio, sceneggiatore, qui all'esordio dietro e davanti alla macchina da presa, ha scritto, sceneggiato, recitato e diretto il film. Il risultato è più che piacevole. Le anziane sono ritratte con un garbo e un'affettuosità che può derivare solo da un'esperienza vissuta. Di Gregorio, nel recitare se stesso, risulta  naturale e credibile. Alla riuscita del film va anche ascritta una suggestiva Roma deserta nei giorni di pieno agosto. [FP]

martedì 18 gennaio 2011

Materiali - La comicità di Checco Zalone 1

" (...) una comicità inaspettata, inedita, che non riusciamo a ricondurre a nulla di recente e noto. Il contrario del déjà vu, la piacevolissima sensazione di essere finalmente davanti a qualcosa di nuovo, veloce, in questo nostro mondo vecchio, ripetitivo, incollato a se stesso e alle sue idee sempre uguali.

Ma chi è questo Checco Zalone? Nel film è un giovane del Sud, disoccupato, precario, allegro, solare, ridente. Raccomandato, donnaiolo, sbruffone. Ingenuo, candido... Ci viene in mente Marcovaldo. E un po’ anche Candide. E Alberto Sordi, Totò, Peter Sellers, Massimo Troisi. E Charlot... Personaggi inconsapevoli di sé, ignari. Di un’ignoranza innocente e salvifica, che rende leggeri e persino fortunati. La semplicità delle anime belle, l’ingenuità, una spontaneità un po’ sbruffonesca, monelleria malandrina al limite della legge: come per esempio lasciare il posto di lavoro - il Duomo di Milano! - incustodito, tutta la gente in coda, e un cartello appeso con su scritto «Sono al bar». Sfacciati e veri, spregiudicatamente leali. Checco Zalone è così: buono, aperto, generoso. Gli va tutto male, ma lui non se ne accorge. E come per miracolo il male si trasforma in bene, o comunque in qualcosa che non fa poi così danno, come un temporale che si allontana, un buio che si stempera e poi, alla fine, diventa quasi luce.


Ci viene da ripensare a che cosa è mai il comico. Oggi spesso è solo satira, grottesco; e invece forse dovrebbe essere uno sguardo ironico su di sé. Ridere di noi, prima di tutto. Il comico è uno specchio. Unione di disincanto e pietà. Non facile. Questo film comico ci sorprende perché ignora i meccanismi soliti, le cinque armi improprie dei film di cassetta: volgarità, turpiloquio, sesso, violenza... e Berlusconi! Riesce a farci ridere, e riflettere, senza adoperare nessuno di questi cinque ingredienti che un po’ - bisogna dirlo - ci sono anche venuti a noia. Li scavalca, li sorpassa, ne fa brillantemente a meno. (...)


È la realtà? Sì, ma non è realismo. È il verosimile, finalmente! È invenzione, nel senso migliore del termine, quando l’invenzione assomiglia alla realtà ma non lo è. Certo, c’è la nostra Italia, in questo film. Ci siamo noi, gli irriducibili italiani. Ci sono tutti i nostri difetti e tutti i nostri incubi peggiori, i temi più cruciali, i vizi, le illegalità: parentopoli, il terrorismo, il Mezzogiorno, l’Islam, il precariato, la mafia, la Chiesa, Bin Laden. Ma tutto è come trasformato, alleggerito, buttato in aria come una manciata di coriandoli. Effetto-Checco, il «cozzalone» del Sud che non capisce il rischio, non sa chi ha davanti, corre pericoli che non vede, diventa amico dei nemici, s’innamora di chi non dovrebbe. C’è la realtà, ma c’è sempre quel guizzo in più, quella trovata, quel doppio salto mortale che ci solleva dal piatto resoconto documentaristico. (...)

Credo che la chiave del successo, quel che alla fine, uscendo dal cinema, scopriamo che ci ha preso, è proprio questo: un senso di liberazione e di sfida, il coraggio di un sottile politicamente scorretto, o meglio, un «politicamente non corretto gentile», quasi tenero, mai offensivo. Come quando Checco dice della ragazza araba di cui si sta innamorando: «È un po’ negra, giusto qualche gradazione, zio, non dà fastidio...»".

Luca Ricolfi, Paolo Mastrocola, "Checco Zalone, l'Italia che riesce a farci ridere", La Stampa, 18 gennaio 2011.

lunedì 17 gennaio 2011

Cado dalle nubi

Cado dalle nubi, di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone, Dino Abbrescia, Giulia Michelini, Fabio Troiano, Raul Cremona - Italia, 2009.
Punteggio ★★1/2   

Checco Zalone - il nome è una crasi delle parole del dialetto barese "che cozzalone!", come a dire "che gran cafone", ed è il nome d'arte di Luca Medici - in questi giorni sulla bocca di tutti per l'inaspettato straripante successo del suo ultimo film Che bella giornata, è arrivato al cinema l'anno scorso con questo film dopo essersi fatto conoscere come comico televisivo.
Nonostante la fragilità della storia che cuce insieme le varie gag e l'impianto narrativo ancora debitore di quello televisivo, ci sono già tutti gli elementi che hanno decretato il successo odierno: l'uso del linguaggio storpiato e sgrammaticato che fa il verso a tanti discorsi che si sentono quotidianamente, le canzonette riscritte con testi tra il volgare e il demenziale, le gaffe terribili di cui Checco è l'unico a non accorgersi, una gradevole inclinazione al politicamente scorretto sia verso il sud che verso il nord leghista.
Buoni i comprimari, in particolare Dino Abbrescia e Fabio Troiano.
Insomma, con Checco finalmente si ride! [FP]

sabato 15 gennaio 2011

Un giorno nella vita

Un giorno nella vita. Regia, soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Papasso.;interpreti: Maria Grazia Cucinotta, Alessandro Haber, Ernesto Mahieux, Domenico Fortunato, Mia Benedetta; durata 87'; 2011.
Punteggio ★★

Fare un film sulla passione di un bambino per il cinema in un paesino del Sud Italia a metà degli anni '60 dopo Nuovo Cinema Paradiso è una missione impossibile. Giuseppe Papasso, autore di soggetto, sceneggiatura e regia (ci credeva proprio) di questo film che inevitabilmente attinge al deja vu, non ne esce però completamente sconfitto. Sebbene ogni tanto la retorica superi il già elevato tasso consentito per un soggetto come questo, va a suo merito aver ridotto le componenti elegiache e di "invenzione della nostalgia" e aver dato spazio alla lotta, ma sarebbe meglio dire gara pacifica, fra le due Chiese imperanti in Italia dopo la guerra: quella cattolica e quella comunista. Il risultato è una guardabile variante di Don Camillo e Peppone, con qualche spruzzo di Marcellino pane e vino e Cosmonauta. Vediamo così scenette di vita quotidiana tanto dei militanti comunisti quanto delle bigotte della chiesa e vediamo belle inquadrature della campagna meridionale.
Maria Grazia Cucinotta, mostra un apprezzabile e crescentre profilo da attrice matura. Alessandro Haber sempre simpatico.[FP]
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venerdì 14 gennaio 2011

La bellezza del somaro

La bellezza del somaro, di Sergio Castellitto. Con Sergio Castellitto, Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova - Italia, 2010. 
Punteggio ★1/2   

C'è chi lo ha definito il cinepattone di sinistra. Ma lo fosse, almeno, un cinepanettone! Invece, niente, centosette minuti di patemi verbali fra genitori e figli, mariti e mogli, mariti e amanti, analisti e pazienti.
Una coppia di borghesi cinquantenni, lui architetto lei psicologa, che si ritengono e tutto sommato sono progressisti e democratici viene messa in difficoltà dallo scoprire che la figlia diciassettenne ha un fidanzato settantenne. Intorno a loro si riuniscono nella grande casa di campagna altre famiglie anafettive-sfasciate-alternative-originali, altri figli sbandati-fumati-insicuri-saggi. La presenza inconsueta del "grande vecchio"  farà maturare varie situazioni critiche, a cominciare dai due genitori "principali". Il tutto condito da un tocco di eccentricità per arrivare al gran finale liberatorio (?!). Vorrebbe essere una pungente e pimpante commedia grottesca ma non decolla mai, zavorrata dai riferimenti culturali, i dialoghi circolari, lo sforzo di esibire autorialità. Teatro filmato colto e inconcludente, giusto e noioso.
Jannacci, incartapecorito nella parte del vecchio guru, è francamente imbarazzante. Laura Morante fa passare la voglia di andare da qualunque psicologa. Soggetto e sceneggiatura sono di Margaret Mazzantini, che mostra tutti i suoi limiti come scrittrice. [FP]
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giovedì 13 gennaio 2011

4-4-2 Il gioco più bello del mondo

4-4-2 Il gioco più bello del mondo, di Michele Carrillo, Claudio Cupellini, Roan Johnson, Francesco Lagi. Con Valerio Mastandrea, Francesca Inaudi, Nino D'Angelo, Roberto Citran, Antonio Catania - Italia, 2006. 
Punteggio ★★  

Quattro episodi, diversi e non concatenati, che descrivono il mondo del calcio sotto un'angolatura non (troppo) convenzionale: un ragazzino napoletano, talento naturale, che tolto dal suo ambiente non sopravvive; amori, disamori e rancori in una squadra di calcio femminile; la parabola fallimentare di un ex calciatore che vorrebbe fare il talent scout; il riscatto morale di un portiere semiprofessionista alla fine di una carriera deludente. Tutti discreti ma non rilevanti; tutti eticamente giusti ma passionalmente piatti.
Buono il recupero come attore di Nino D'Angelo (l'allenatore del ragazzino napoletano), non male  Valerio Mastandrea come portiere demotivato con il guizzo morale [FP].
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mercoledì 12 gennaio 2011

Baciami piccina

Baciami piccina, di Roberto Cimpanelli. Con Vincenzo Salemme, Neri Marcorè, Elena Russo - Italia, 2006 
Punteggio ★★1/2   

Il 7 settembre 1943 un carabiniere di un paesino dell'Italia centrale (Neri Marcorè) riceve inaspettatamente l'ordine scortare a Venezia un noto truffatore (Vincenzo Salemme). Sembra una passeggiata, al punto che a essi si unisce la fidanzata del milite (Elena Russo), in attesa da anni del sospirato matrimonio con relativo viaggio di nozze proprio a Venezia. La Storia però interviene pesantemente e il giorno dopo, l'8 settembre, i tre si trovano ad attraversare un'Italia allo sbando. La passeggiata  diventa una corsa per la salvezza. Nell'affrontare vari pericoli e imprevisti insieme, il carabiniere e il truffatore, che rivela peraltro una storia di attore teatrale travolto da un destino avverso, trovano un'intesa umana che li condurrà, per strade diverse, a prendere coscienza della propria esitenza e a modificare il loro destino.
L'idea, di Sergio Citti, cui il film è dedicato, è buona. La realizzazione è diligente ma un po' insufficiente sul piano della drammatizzazione. Neri Marcorè si conferma adatto per le parti d'epoca, ma la rivelazione è Vincenzo Salemme, il cui profilo da attore drammatico è una gradita sorpresa. Elena Russo, esempio di bellezza italiana tradizionale. [FP]
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martedì 11 gennaio 2011

Che bella giornata

Che bella giornata, di Gennaro Nunziante, con Checco Zalone, Nabiha Akkari, Rocco Papaleo, Ivano Marescotti, Luigi Luciano, Annarita del Piano - Italia, 2011. 
Punteggio ★★★1/2  

Nel fossilizzato panorama della comicità italiana sembra muoversi qualcosa. Si chiama Checco Zalone. Il nome è una crasi delle parole del dialetto barese "che cozzalone!", come a dire "che gran cafone", ed è il nome d'arte di Luca Medici, già noto come comico televisivo. I suoi video musicali che reinterpretano canzoni famose con parolacce e volontarie sgrammaticature spopolano su Youtube.
Già il suo precedente film Cado dalle nuvole aveva spunti divertenti ma restava il dubbio che fosse semplicemente il frutto degli sketch televisivi. Con questo film si può dire che il dubbio è, positivamente, risolto. Più che la trama, ciò che interessa è cercare di capire perché fa ridere Checco Zalone. Direi perché si presenta come un super sprovveduto, imbevuto di luoghi comuni e aspetti deteriori della cultura meridionale, che crede però di essere imbattibile, in gambissima, il migliore. E' questa forbice tra realtà oggettiva e percezione soggettiva che fa ridere. Nell'esprimere questa totale incompresione di sé e della realtà, Checco utilizza tutto un catalogo di movenze tipiche da cafone ignorante, a cominciare dall'uso di vocaboli e citazioni che crede forbiti pronunciati in maniera errata al punto da stravolgerli. Al di là delle differenze geoculturali, ricorda soprattutto il Rowan Atkinson di Mister Bean e, per altri aspetti, il Peters Sellers dell'Ispettore Clouseau e  AliG. Più ancora che essere "politicamente scorretto" (e già solo questo farebbe gridare: finalmente!) la sua è una incuranza irresistible della realtà sociale, politica, culturale, che porta a galla il "meglio del peggio" dell'essere italiani.
Anche i suoi comprimari ricevono adeguato spazio e si rivelano capaci nelle rispettive parti: Rocco Papaleo, Luigi Luciano, Ivano Marescotti.
Fondamentale la colonna sonora, contenente alcune canzoni scritte e cantate da Luca Medici! [FP]



domenica 9 gennaio 2011

Materiali - Martone su Martone

Il volume edito da Bompiani che riporta la sceneggiatura del film Noi credevamo si apre con una sintesi delle conversazioni intervenute tra Martone e Lorenzo Codelli. In esse il regista affronta le questioni legate all’origine del film ed alla sua realizzazione. Scopriamo che la sua genesi ha uno stretto rapporto con il problema del terrorismo:
A darmi la spinta per il film fu una domanda che a un certo punto cominciò a passarmi per la testa. Dopo l'11 set­tembre la pressione del terrorismo internazionale era perce­pita in maniera molto forte e la questione palestinese era sem­pre molto presente. Non pensavo tanto al passato, alla storia d'Italia, che in fondo non conoscevo affatto, ma, riflettendo sul rapporto fisiologico fra terrorismo e lotta per l'identità nazionale, mi chiedevo: com'è possibile che il nostro Paese, che ha così a lungo combattuto per la sua indipendenza, non abbia conosciuto niente del genere? Che la storia d'Italia sia stata soltanto una storia di grandi battaglie, gesti eroici e abi­lissime diplomazie, senza quel fatale e pesantissimo contrap­peso che l'impegno di una lotta del genere comporta?

A questa domanda il regista ha trovato delle risposte, anche grazie alla collaborazione di Giancarlo De Cataldo, nell’attentato di Felice Orsini, nel progetto di minare Notre-Dame a Parigi, nella congiura per assassinare Carlo Alberto. Più in generale la genesi del film rimanda alle molte rimozioni che ostacolano la conoscenza della nostra storia:
Ora, è chiaro che la mia conoscenza della storia d'Italia era molto generica, ma mi sono accorto, nel corso degli anni, che questa conoscenza generica è molto diffusa. […]
Noi italiani abbiamo un'idea approssimativa della nostra storia, priva di qualunque rilievo drammatico. Credo che sia per questo che su di essa è calato nel tempo un pesante strato di polvere.
Noi credevamo è nato nel tentativo di dare risposte a questa domanda iniziale, poi è cominciato il viaggio dentro la storia italiana dell'Ottocento e i temi del film sono anda­ti molto oltre.

L’omonimo romanzo di Anna Banti ha fornito poi molto più che un semplice spunto narrativo:
Il romanzo è una sorta di "autobiografìa apocrifa", poi­ché è costruito su elementi di realtà. Il nonno di Anna Banti, che si chiamava Domenico Lopresti (e Lopresti era il vero nome della scrittrice, che aveva poi scelto Banti come nome d'arte), era stato un cospiratore repubblicano, imprigionato a Procida, a Montefusco, a Montesarchio. 
Il romanzo inizia a Torino dove il protagonista, vecchio e malato, ricorda in un lungo monologo interiore la sua vita. Per quanto mi avesse colpito molto, non ho mai pensa­to di mettere in scena il romanzo; ne ho voluto piuttosto trarre degli elementi importanti. A derivare dal libro della Banti è innanzitutto il personaggio di Domenico, con quel suo carattere chiuso, la sua ostinazione magnificamente raccontati dalla scrittrice. Ma anche dal punto di vista narrativo c'erano degli epi­sodi che si sono poi rivelati fondamentali per il film: la detenzione a Montefusco e la partecipazione alla battaglia di Garibaldi in Aspromente, con l'amara sconfitta che ne seguì.
[…]
L'altro elemento importante che il film deriva dal libro di Anna Banti è la radicalità repubblicana, che in esso dal­l'inizio alla fine è il punto fermo della vicenda di Domenico Lopresti. Domenico è un mazziniano, nel romanzo peral­tro non affiliato alla Giovine Italia ma ai Figli della Giovine Italia, il movimento meridionale di Musolino in Calabria. Anna Banti dedica pagine bellissime anche all'incontro con Musolino, ma nel film abbiamo semplificato le cose per ragioni narrative, per rendere più diretto il rapporto con Mazzini.

La radicalità repubblicana rimanda alla tesi di fondo del film (che peraltro è un punto fermo della storiografia risorgimentale): l’esistenza di due Risorgimenti, quello monarchico-liberale e quello mazziniano-democratico, con la sconfitta di quest’ultimo. Questo dualismo, tra un’opzione tendenzialmente autoritaria ed una democratica, secondo Martone si sarebbe ripresentato poi in tutta la storia italiana successiva. Ed il film, precisa l’autore, non è sul Risorgimento ma sui repubblicani e sulle loro diverse anime.

Il dato autobiografico è un altro degli elementi determinanti nella genesi del film. Martone spiega che in tutti i suoi film ha sempre avuto bisogno “di un baricentro autobiografico che si facesse luogo dell’azione”. In questo caso hanno un loro ruolo non solo le estati dell’infanzia trascorse in Cilento ma anche la sua storia familiare: di due suoi antenati, cospiratori del primo Ottocento, uno aveva fatto parte della banda dei Capozzoli e li aveva poi traditi. Dunque ora era suo compito, come egli si esprime, “mondare” questa infamia!

Dopo alcune informazioni sulle vicende produttive (da cui apprendiamo che la prima idea del film risale addirittura al 2003 e che dunque esso non ha nulla a che fare con le celebrazioni dei 150 anni), Martone esplicita il suo punto di riferimento cinematografico:
Ho sempre pensato di voler fare un film con un impianto rosselliniano. Nel senso che volevo utilizzare, seconda la lezione di Rossellini, gli elementi della Storia in quanto tali, evitando rielaborazioni artificiali. Ad esempio, i dialoghi di Mazzini nel film, per gran parte, derivano fedelmente dai suoi scritti. Parlano con un’evidenza molto superiore a qualunque tentativo di sceneggiare che noi possiamo immaginare. […] Questi materiali portavano dentro una loro lingua obsoleta ma magnifica che ha cominciato a costituire per me una sfida appassionante: poter far recitare in maniera viva dei personaggi in una lingua che non era la nostra ma la loro.

Le riflessioni sulla lingua ritornano anche in seguito quando egli ricorda che nel film vi sono numerosi dialetti e diverse lingue; soprattutto i dialetti evocano il contrasto geografico. Ma questo contrasto si manifesta talora come conflitto (dialogo tra il vetturino e i bersaglieri al posto di blocco) e talaltra come ricchezza (l’incrocio delle voci meridionali e settentrionali tra i garibaldini).

Parlando della individuazione dei castelli di Bovino e Deliceto come location per girare le scene ambientate nel carcere di Montefusco, abbiamo un’altra indicazione circa le scelte stilistiche di Martone:
E’ vero che avrei potuto girare il carcere in un teatro di posa, data la sua concentrazione drammaturgica, ma non sarebbe stato lo stesso. Come dicevo prima, per me è sempre molto importante, dal punto di vista narrativo, l’aspetto concreto del paesaggio e dei luoghi. Nessuna ricostruzione può darti la spietatezza di un muro a cui sono state veramente incatenate delle persone, o di un luogo realmente umido. E’ stato faticoso lavorare nei castelli pugliesi, per gli attori e per noi tutti, in condizioni dure, ma credo che tutto ciò passi sullo schermo.
Là dove Martone parla della collaborazione con il direttore della fotografia Renato Berta, ci illustra anche il suo rapporto con i precedenti film risorgimentali:
Dato che si tentava un'impostazione storiografica nuova, alle origini del film c'era anche il tentativo di creare un'impostazione iconografica diversa rispetto a quella degli altri film risorgimentali, assimilabile sostan­zialmente ai film di Luchino Visconti, Senso e II Gattopardo. Anche il Rossellini di Viva l'Italia, infatti, è immerso in quel tipo di grandiosità pittorica, affreschi, battaglie. Una concezione chiara, molto bella e ovvia­mente molto sorretta finanziariamente e produttivamen­te. Ho rivisto con grande interesse tutti i film sul Risorgimento italiano. Mi ha colpito Vanina Vanini che, tra i film di Rossellini, è considerato "minore", ma che rac­conta in modo particolare la cospirazione come pochi altri film hanno fatto. 1860 mi sono reso conto di averlo inconsapevolmente citato; il film di Blasetti si apre infat­ti con l'incendio di un villaggio da parte dell'esercito borbonico, e io l'ho visto dopo che con De Cataldo ave­vamo già scritto una stesura con un inizio identico, Inu­tile dire che ho lasciato con entusiasmo la citazione. E poi Bronte, che ho visto in una proiezione in cui Florestano Vancini ne raccontava la realizzazione, un film storiograficamente molto interessante su un episodio atroce che dimostra come l'esercito dei liberatori garibal­dini potesse all'improvviso rivelarsi ferocemente repres­sivo nei confronti dei contadini in rivolta. Un tratto di ambiguità di cui si trova traccia in Noi credevamo nel contrasto tra i volontari garibaldini che mettono in scena I mafiusi de la Vicaria e gli ufficiali garibaldini che li vogliono zittire. Un film ambientato nell'Ottocento che ho amato è Piccolo mondo antico di Mario Soldati. Sono andato a vederlo alla sala Trevi a Roma, ho cercato infat­ti di vedere tutti questi film in pellicola, su grande scher­mo. Il film di Soldati ha una magnifica forza di realtà, realtà dei luoghi, dei rapporti tra i personaggi. Respiri il secolo proprio nella sua quotidianità, un vero scavo inte­riore. Pur non essendo direttamente politico, è stato uno dei film più preziosi ambientati nell'Ottocento che ho visto nei lunghi anni di preparazione di Noi credevamo.

Nella sezione in cui si parla delle quattro parti in cui si articola il film apprendiamo quali sono stati i materiali letterari e storici che hanno influenzato la stesura della sceneggiatura (oltre naturalmente al romanzo della Banti): I demoni di Dostoevskij e Il passato e i pensieri di Herzen per l’episodio di Angelo, Carceri e galere politiche. Memorie del duca Sigismondo Castromediano per le vicende interne al carcere di Montefusco, I mafiosi della Vicaria di Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca per l’ultimo episodio.

Infine, le considerazioni conclusive di Martone:
Il titolo ci dice che il film è il racconto di una sconfitta, e non c’è dubbio che Noi credevamo sia un film tragico. Ma quando dico tragico, intendo anche catartico, vorrei cioè che desse una spinta all’azione. Il punto non è che tutto è finito, il problema è che tutto è da cominciare.
[Selezione e redazione di PG]